Lasciamo Byron Bay e con essa l’ultimo scorcio di natura incontaminata, almeno per quanto concerne il nostro viaggio fino ad oggi. Il balzo verso il mezzogiorno australiano questa volta è notevole, 900km per giungere infine nella metropoli di Sydney. Individuato un campeggio, abbandoniamo il camper per entrare nello spirito della città, mescolandoci ad un fiume di persone che viaggia invisibile nel sottosuolo, in una fitta rete di linee. Ormai è sera e visitiamo la city in un contesto sicuramente poco ospitale, raggiungiamo a piedi i giardini botanici in una giornata di pieno inverno, con una temperatura che piomba rovinosamente a 8 gradi. Gli spazi sono immensi, così come le distanze da percorrere. Passeggiare tra i giardini sarebbe certamente più interessante, se solo avessero pensato ad illuminare tanta cura per il verde qui presente. Motivo per cui probabilmente la gente non si aggira più nei paraggi. Usciti dai giardini incontriamo il simbolo della città, la Sydney Opera House, ovvero il teatro dell’opera. Favolosa struttura che si affaccia sulla baia della città, nel mezzo di uno dei porti più grandi e conosciuti al mondo. Da qui la vista è splendida ed oltre a grattacieli che sbirciano dall’alto le milioni di persone intente a raggiungere la propria meta, il monumentale Harbour Bridge è ciò che impressiona per le importanti dimensioni. Spendiamo due giorni per gironzolare, toccando anche mete quali Manly e Bondi Beach. L’impressione, tirate le somme, è quella di una città che si adegua agli standard di una metropoli che accoglie abitanti e turisti da ogni parte del mondo, uniformandosi verso ogni tipologia di eccesso. Sicuramente una città viva, operativa e ben organizzata, spettacolare da vivere e completa nella sua costituzione, ma se vogliamo definire l’Australia per l’essenza che vuole trasmettere, probabilmente ci discostiamo dal profilo con il quale inquadriamo Sydney.
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