Chicago è là fuori, ci precipitiamo quindi all’area colazioni scendendo al piano meno uno, raggiungibile perfino da una scalinata che riprende le caratteristiche di un campo sportivo, nello specifico baseball. L’ingresso porta ad un corridoio che rappresenta un’area spogliatoi, comprensiva di panchine e piastrelle sulle pareti, di una fedeltà quasi conturbante. Girato l’angolo troviamo anche una pista di automobili in stile polistil, enorme, alcuni calcio balilla ed un ping pong. A colazione terminata ci spostiamo al Millennium Park utilizzando il treno che corre sulla Sopraelevata cittadina. È occasione di incontrare un’opera simbolo di questa città, il Cloud Gate, un gigante fagiolo cromato di 110 tonnellate che distorce riflessi e prospettiva, creando effetti insoliti. A breve distanza troviamo The theatre for music and dance, purtroppo al momento deserto, ma che visualmente parla di un’acustica certamente interessante.
Rapida occhiata al punto di partenza della Historic Route 66 e di nuovo in stazione per tornare all’auto. Nell’attesa del nostro treno, un ragazzo del posto ci sorprende apparendo dal nulla, chiedendo se siamo europei; come un Messaggero venuto da un luogo remoto afferma “Army is Media, Media is Army”, dileguandosi poi nel nulla. Raccogliamo questa perla e ripartiamo verso Albuquerque.
St. Louis è una tappa intermedia di fronte al fiume Mississippi che conserviamo dalla partenza come possibile pausa verso l’agognata e distante Albuquerque. L’intenzione è correre e guadagnare più chilometri possibili, limitando il viaggio della prossima giornata, ma giunti in prossimita ci prendiamo uno stop, adocchiando dall’autostrada l’arco gigantesco che protende verso il cielo, simbolo della città. Buona sorte ci permette di parcheggiare ai piedi della struttura, ci avviciniamo per apprezzare e comprenderne meglio la natura, quando nella parte alta, un luccichio attira la nostra attenzione, come un cecchino che svela la sua posizione al nemico, riflettendo inavvertitamente la luce del sole nell’oculare. Le armi come ben risaputo sono legali da queste parti, ma realizziamo istantaneamente che si tratta di un flash di fotocamera, fugando il dubbio su una possibilie risalita. Nonostante la struttura risulti all’apparenza inospitale per consentirne l’ascesa, in men che non si dica siamo alla cassa per acquistare il biglietto. Sbrigate le pratiche con l’ennesimo controllo all’ingresso, veniamo accompagnati all’area ascensori, dove ci introduciamo in cabine così minute che ricordano celle di espulsione di astronavi da film. Saliamo a 192m e giungiamo in un unico corridoio con oblò rettangolari di dimensioni minimali, scrutabili sdraiandosi nella parte antistante. Da brividi il pensiero di essere quasi sospesi su di una struttura che sfida le leggi della fisica in quanto a stabilità. Dalla stessa posizione osservando l’orizzonte avvistiamo un campo da baseball e decidiamo di portarci in zona per rubare un’occhiata prima di ripartire. Veniamo avvicinati da un bagarino che ci propone l’acquisto di un biglietto e cercando di lasciarcelo alle spalle negando forzosamente i continui rilanci, otteniamo un prezzo da capogiro, circa 20 dollari per tre ingressi. Cogliamo l’occasione ed entriamo nello stadio, prendendo parte ad un consueto evento per i residenti quanto insolito per noi forestieri.
La serie di coincidenze di quest’oggi ci porta quasi a pensare che l’America sia pregna di occasioni e che debbano essere soltanto inseguite tramite semplici azioni quotidiane. Attendiamo pertanto la prossima sorpresa azzardando uno spostamento notturno verso il New Mexico.
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