L’arrivo a Flagstaff in tarda serata non ci consente di visitare la città e l’idea di presentarci al cospetto di sua maestà il Grand Canyon all’alba cade sul nascere. Di buona lena affrontiamo i 90 minuti di strada che ci separano dal parco, varcando i cancelli che ci proiettano in una foresta incantata. Schiere di alberi sull’attenti mostrano il saluto, accompagnando le decine di vetture in carovana verso le aree di sosta. Lasciata l’auto ci dirigiamo verso il Rim Trail, sentiero pedonale che costeggia il South Rim del Canyon, pronto ad offrire panorami mozzafiato. Dopo un breve tratto all’interno di un boschetto ben mantenuto, arriviamo al primo balcone naturale, dove il respiro viene a mancare per qualche secondo. Una distesa immensa si apre dinnanzi ai nostri occhi e spazia da est a ovest, in un complesso intreccio di roccia impossibile da inquadrare in una sola occhiata. Speroni ed insenature si susseguono rapidi, coraggiosamente eretti a strapiombo sulla valle. Prendo posto su due sporgenze per ascoltare il respiro del Canyon che a distanza vocifera pubblicamente in un monologo affascinante, ma mai intimo e privato come a tu per tu con le gambe a penzoloni. Non svelerò il segreto confessatomi dalla quintessenza padrona di casa, disponibile però al dialogo dai confessionali incastonati su roccia sedimentaria, dispersi lungo il perimetro.
Sul percorso abbiamo modo di incontrare una serie di scoiattoli, tra i quali un amichevole esemplare che ci concede qualche scatto, con primi piano davanti ad uno sfondo d’eccezione.
Il meteo è variabile anche quest’oggi e si passa da un cielo quasi sereno, a nubi minacciose con qualche goccia vagante ad allarmare con codardia, resistiamo alla provocazione a ragione e portiamo a termine la nostra escursione.
Riprendiamo la marcia a metà pomeriggio, per affrontare le 5 ore abbondanti che ci separano da Cedar City. Nel mezzo del cammino all’interno della foresta, ci ritroviamo rei a viaggiare con una riserva di carburante quanto meno poco rassicurante. Nei saliscendi che caratterizzano l’area di confine del parco, ce la caviamo con un pizzico di strizza, giungendo ad un distributore senza troppe noie. Rifocillati prontamente, riprendiamo il cammino con il sole all’orizzonte a pennellare di sfumature un cielo in continua evoluzione, percorrendo una serie di deserti senza confine, dalle caratteristiche costantemente mutevoli. Assistiamo al cambio di testimone tra sole e luna, ammirando la luce affievolirsi inesorabilmente, lasciando spazio ad un cielo sempre più nevrotico. Una scarica di fulmini luminescenti ci attende più in là e l’avanzare costante, sembra condurci all’interno di un uragano. Ad un tratto il cielo si divide, come un lenzuolo che scopre l’anima calda del letto al mattino, mostrandosi di un nero profondo sconvolto e contrastato da una spruzzata di stelle di una luminosità penetrante. La volta celeste è lacerata da un manto colorato di una magnificienza oltre l’artificioso, la Via Lattea. Fermiamo il momento con i nasi all’insù e realizzando qualche scatto a memoria dell’evento. Nella composizione ci serviamo di una torcia che nell’atto di puntare al cielo in una lunga esposizione fotografica, viene forse inteso da alcuni passanti come segnale d’allarme. Di lì a poco vediamo presentarsi un mezzo di soccorso che con tutta probabilità sopraggiunge in aiuto, ma la nostra ripartenza in coincidenza ci evita dover fornire una spiegazione alla situazione imbarazzante creatasi. Proseguendo più avanti, nell’arco di pochi minuti, un violento diluvio ci coglie impreparati ed affrontiamo per diversi chilometri un tragitto impegnativo ed impervio fino a rientrare in autostrada a regime standard. Arriviamo a destinazione nel cuore della notte e come di consueto, per una ragione che ancora non riusciamo a fare nostra, scarichiamo l’auto e chiudiamo la serratura che blinda le portiere con un conseguente breve colpo di clacson. Totally nonsense.
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